Una pezza di Lundini è tornato. Il late show di Rai 2 condotto da Valerio Lundini ha inaugurato la stagione 2021 martedì 20 aprile. Come sempre, in studio anche Emanuela Fanelli e la band Vazzanikki. In onda dal Teatro delle Vittorie, sin dai primi istanti il programma non presenta stravolgimenti, almeno nella sua costruzione.
Una pezza di Lundini si apre con i soliti personaggi in cerca d’autore, rectius del loro posto in studio, un istante prima che faccia ingresso il conduttore. A cambiare è la scrittura, ancora più acuta e cattiva, se si vuole. Valerio Lundini accoglie Emanuela Fanelli con ‘Ecco la fiorata che ti spetta in quanto donna’. Una frase a effetto che riporta alla memoria il bouquet del Festival di Sanremo e che dà la cifra di quello che è Una pezza di Lundini.
E’ la televisione che prende in giro la televisione, che si racconta nelle sue bassezze e si contraddice minuto dopo minuto. Ospiti della puntata, Giampiero Ingrassia e i Maneskin. Due interviste surreali in cui Lundini indossa i panni del conduttore a volte impreparato, a volte irriverente, portatore di domande inutili e surreali. Non mancano le battute scorrette (‘l’imitazione dei cinesi con gli occhietti’ è un rimando alla polemica che ha travolto Striscia la notizia), sciorinate una dopo l’altra, con il solito aplomb del padrone di casa.
Il colpo di genio, poi, arriva con la presentazione della fiction Simonetta, la truccatrice di Anna Magnani, con tanto di promo in stile Rai 1. In due minuti, Una pezza di Lundini ironizza sulle fiction Rai, sulla recitazione tipica del genere, e stronca decine di prime serate.
Da suo debutto a oggi Una pezza di Lundini è diventato un vero e proprio cult. Un guilty pleasure di cui il telespettatore – specialmente quello più giovane – non può fare a meno e a cui la TV non può rinunciare. Con la sua comicità surreale, rilegge l’attualità, va oltre il politicamente corretto e, così facendo, induce alla riflessione. Una vera novità nel panorama televisivo attuale, in cui il piccolo schermo fatica a destrutturarsi, a prendersi in giro e, soprattutto, a giocare la carta vincente più di ogni altra: quella dell’autoironia.