Il viaggio di Netflix nel mondo dei Chassidici prosegue con One of US, un interessante documentario sulla comunità Satmar. Sulla piattaforma streaming, alla serie TV Uonrthodox, ispirata a una storia vera e in parte romanzata, corrisponde uno spaccato di vita che, benché scritto e montato, restituisce una fotografia cruda e reale di ciò che è la vita all’interno delle comunità chiuse.
I Chassidici di New York
A New York vivono circa 300.000 Chassidici, stanziatisi nella città americana nel secondo dopoguerra. È la frangia estrema degli ultraortodossi: parlano yiddish (una lingua che ricorda l’ebraico e il tedesco insieme) e vivono seguendo regole rigide, distanti da ciò che è la vita moderna, contemporanea.
Negli anni hanno creato un sistema nel sistema: dall’educazione alla sanità, hanno sviluppato la capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Ecco, dunque, che, al di là del credo religioso, tra i Chassidici aleggia un forte senso di appartenenza: tutti i membri sono protetti e vi è solidarietà reciproca. Nessuno resta indietro.
Di conseguenza, pochissimi lasciano la comunità. Solo il 2% lo fa e a un prezzo altissimo: se vai via perdi tutto. Una scelta forte che non tutti sono disposti a operare e che ricorda il percorso di Esty in Unorthodox.
I protagonisti di One OF Us
Ari, Etty e Luzer sono i protagonisti di One Of Us. Attraverso le loro testimonianze, si delinea un quadro abbastanza nitido delle conseguenze cui va incontro chi decide di cambiare vita.
Tre storie diverse, appunto, accomunate da un elemento: il conto. Nel caso di Etty, la battaglia per la custodia della figlia. Persa. Se vai via, ti metti contro non solo l’ex partner, ma l’intera comunità, disposta persino a organizzare una raccolta fondi per pagare i di lui avvocati.
Luzer, volato a Los Angeles per inseguire il sogno di diventare attore. Tra un casting e l’altro, rivela di aver trovato sé stesso: ‘Non mi sento un ex Chassidico’, dice. Soprattutto, vivere in abiti ‘laici’ lo ha portato a raggiungere una grande consapevolezza di ciò che non vuole più: ‘I drammi. I don’t want drama in my real life. In my real life, I am perfectly well. In real life I don’t have any children. In real life, I never lost anyone’. I drammi sono terminati quando è andato via.
One Of Us fa luce sul lato oscuro
Alla perdita della famiglia di origine, si aggiungono gli abusi, le minacce, le violenze, che talvolta accentuano la voglia di scappare. Stando al racconto, il lato oscuro della comunità ha risvolti agghiaccianti. Figli strappati al genitore che va via, figli rinnegati dalla famiglia perché alla ricerca di una vita normale, ragazzi abusati costretti a tacere. Un palese ostracismo difficile da comprendere.
Allo stesso tempo, però, vi è da considerare la componente religiosa. Alla base delle pesanti conseguenze non vi è cattiveria. ‘The community truly believes that they’re saving the souls of these children, La comunità crede davvero di salvare le anime dei bambini’, afferma un’operatrice di Footsteps, un’associazione nata per offrire sostegno psicologico a chi ha intenzione di Satmar. Nel caso di Etty, la battaglia dei Chassidici per toglierle la custodia della figlia non è personale, non è accanimento. Alla base di tutto vi sono i precetti religiosi.
Ogni azione è giustificata dalla parola di Dio. La rigidità, la severità, la società prettamente patriarcale, in cui la donna è quasi considerata un gradino più in basso rispetto al marito, sono tutti concetti ben radicati.
One Of Us e Unorthodox ne mettono in luce le caratteristiche, svelandone anche i limiti: vivono in un tempo sospeso, un tempo chiuso, distante da quello contemporaneo. Si preservano e non nutrono alcun interesse per la società che li circonda.
L’assenza di giudizio in One Of Us
‘I was not happy at that time, A quei tempi non ero felice’, ricorda Etty. Questa espressione spiega meglio di mille parole perché, a un certo punto, si decide di cambiare vita.
I protagonisti di One Of Us si emancipano dalle proprie famiglie e dal proprio contesto sociale per sottrarsi ai dettami della comunità. In nome della libertà o forse del libero arbitrio senza la paura costante di un giudizio superiore.
Nonostante ciò, andare via non è una scelta semplice, non solo per le conseguenze, ma anche per il giudizio verso sé stessi. Per la paura di vivere in una società laica. Uscire dal guscio, affacciarsi su un mondo nuovo, diverso, caotico, libero, scevro da paletti e proibizioni può essere uno shock. Il coraggio fa a pugni con la paura.
Netflix non fornisce una soluzione a tale conflitto. Ancora una volta, racconta senza emettere un verdetto, senza formulare un giudizio. Lascia allo spettatore la libertà di decidere da che parte stare. Nel mentre, offre uno spaccato di realtà, troppo spesso non considerato.