Inventing Anna, trama e recensione della serie Netflix sulla storia vera di Anna Delvey/Sorokin

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Julia Garner in Inventing Anna, serie Netflix in 9 episodi basata sulla storia vera di Anna Sorokin

Al primo posto dei titoli più visti di Netflix, vi è Inventing Anna, serie in 9 episodi uscita venerdì 11 febbraio 2022, basata sulla vicenda di Anna Delvey/Anna Sorokin, condannata a 12 anni di carcere per truffa. Le protagoniste sono le attrici Julia Garner (Anna) e Anna Chlumsky (Vivian Kent), quest’ultima nei panni della giornalista che ha per prima ha dato visibilità alla vicenda. La produzione è di Shondaland (Shonda Rhimes).

L’abito fa il monaco? E’ quello che si chiede Vivian Kent, giornalista appassionata a caccia di storie, che intravede nell’arresto di Anna Delvey qualcosa in più di una semplice imputazione per truffa. Decide di andare a fondo della questione e capire come le più alte sfere di New York siano cascate nell’inganno ordito da Anna.

La trama di Inventing Anna

Inventing Anna parte dall’arresto della Delvey. Vivian si reca in carcere per chiederle di raccontare la sua versione dei fatti, ma è chiaro sin da subito che non sarà una missione facile. Anna Delvey è un’ex socialite di New York, capace di farsi strada vendendosi per ciò che non è. Come un ragno, con abilità e maestria, è riuscita a tessere una tela fatta di accordi e incontri con i banchieri e gli investitori più importanti della Grande Mela.

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Anna Chlumsky è nel cast di Inventing Anna nei panni della giornalista Vivian Kent

Chi è Anna Delvey/Anna Sorokin?

Aveva un sogno, Anna: creare la ADF, Anna Delvey Foundation, una fondazione dedicata agli artisti e a un pubblico esclusivo. Per riuscirci, ha scalato la città, fino ad arrivare sulla vetta più alta dei suoi grattacieli. Per diverso tempo, ha raccontato di essere la figlia di un magnate russo, cresciuta in Germania e arrivata negli Stati Uniti per uscire dall’egida paterna e farcela con le proprie gambe.

Grazie a una serie di incontri fortunati e a una scaltrezza non indifferente, Anna Delvey riesce a vivere una vita da sogno. Hotel lussuosi, viaggi da mille e una notte, abiti di haute couture, ristoranti stellati, club esclusivi. Una vita da ereditiera.

E’ abbastanza furba da scegliere le persone con cui accompagnarsi: fidanzati rampanti pronti a soddisfare qualsiasi desiderio, donne dell’alta società disposte a garantire sulla bontà dell’investimento nella Anna Delvey Foundation, banchieri decisi a sponsorizzare una ragazza così giovane, ma così brillante. Il tutto, corroborato dai racconti di Anna, impreziositi dall’esistenza di un trust di 60 milioni di euro in Germania.

La débâcle di Anna Delvey

Per diverso tempo, Anna Delvey riesce a cavarsela in ogni situazione. Le carte di credito vengono puntualmente rifiutate, ma la sua arroganza mista a una grande sicurezza mettono in soggezione chi le sta vicino. Circostanza non da poco, perché nonostante venga cacciata da tutti gli hotel in cui soggiorna per non aver saldato il conto, può contare sulle persone di cui, volta in volta, si circonda. Lo fa con la loro – più o meno libera – approvazione o rubando dai loro conti. A un certo punto, però, la vita patinata di Anna Delvey crolla. La polizia inizia a investigare, l’amica a cui ha rubato 62.000 dollari la denuncia e Anna finisce in manette.

La giornalista Vivian Kent vuole capire come sia stato possibile che una ragazza evidentemente squattrinata, arriva dal nulla, senza pedigree né esperienza lavorativa alcuna, sia stata in grado di gabbare l’alta finanza di New York. Ecco che si delinea un quadro agghiacciante.

La finanza newyorchese si sgretola come un castello di sabbia. Inventing Anna dimostra come in certe circostanze l’abito non solo fa il monaco, ma consente pure di aprire tutte le porte. Prima del suo arresto, Anna Delvey era a un passo da ottenere un trust di 200 milioni di dollari. Una cifra assurda, sulla quale nessuno ha indagato a dovere. Ciascun degli attori in causa si sono fatti convincere dalla ‘buona parola’ spesa dai rispettivi colleghi. Nessun controllo approfondito, nessuna ispezione e nessun no. Tutto era possibile perché a garantire per Anna Delvey era il famoso trust di 60 milioni bloccato in Germania.

La recensione di Inventing Anna

Inventing Anna è una fotografia di tanti elementi. Primo tra tutti, l’agognare una vita lussuosa costi quel che costi. La voglia di apparire, di esserci e di essere riconosciuti. Una volta in carcere, Anna Sorokin non prova un briciolo di rimorso per i reati commessi, ma è focalizzata solo su due cose. La prima, mostrarsi ben vestita in tribunale, in modo da poter tenere in vita il suo personaggio sulla stampa; la seconda, dimostrare al mondo di essere un genio. ‘I am not an idiot, I am not a dumb socialite. I am a player’ (‘Non sono un’idiota, non sono una socialite. Sono una giocatrice’), dice al suo avvocato.

E in questa partita a scacchi, Anna Sorokin mangia tutte le pedine, una dopo l’altra. Per un soffio non fa scacco matto, ma poco importa, perché anche Vivian, che inizialmente le si è avvicinata per toglierle la maschera, alla fine mostra un attaccamento inaspettato nei suoi confronti. E’ caduta nel tranello della sottile manipolazione di cui è capace la Sorokin o alla fine, come dice Todd, l’avvocato di Anna, ‘there is a little bit of Anna in all of us’ (‘c’è un pizzico di Anna in tutti noi’)?

Sebbene Inventing Anna racconti le gesta di una ragazza che sogna in grande, di cui si è occupata la stampa internazionale, purtroppo la serie non è un capolavoro. Anna Chlumsky e Julie Garner sono bravissime nei rispettivi ruoli. A non reggere è l’impianto narrativo. 9 episodi per un totale di 10 ore, troppo per le vicende raccontate, che avrebbero potuto essere condensate in una durata inferiore. Poi la psicologia di ciascun personaggio. Nella lotta tra il raccontare e il non voler prendere parte ad alcun giudizio, il titolo targato Shondaland non approfondisce la psicologia dei vari protagonisti. Accenna, ma appena si addentra nella psicologia di ciascuno, fa un passo indietro.

Vivian, da giornalista d’assalto a sostenitrice morale?

Soprattutto i personaggi di Anna e di Vivian vengono tratteggiati in modo veloce e superficiale. All’inizio si vede una Vivian decisa ad aprire il vaso di Pandora. Intervista chiunque abbia avuto a che fare con la Sorokin, per constatare con le proprie orecchie e i propri occhi che chiunque di essi è stato gabbato, derubato, ingannato e/o truffato. Ciononostante, è la stessa Kent a preoccuparsi delle sorti di Anna una volta in prigione e a comprarle gli abiti con cui presentarsi al processo. Abiti che Anna non chiede, ma pretende, minacciando di non entrare in aula. Un coinvolgimento eccessivo, la cui analisi è lasciata interamente allo spettatore. Un coinvolgimento che non collima con il distacco e l’imparzialità che un giornalista è tenuto a mantenere sempre.

Inventing Anna, una serie superficiale

La figura di Anna Sorokin, poi, viene accostata a quella di una ragazza problematica, ma non si capisce bene fino a che punto, e sembra che vi sia a tratti una sorta di assoluzione implicita per i reati commessi. Come a dire: voleva solo essere famosa e condurre una vita lussuosa, la colpa è di chi ci è cascato. Certamente la colpa è di chi ha elargito denaro e si è esposto per garantire a suo nome, ma la gravità dei fatti commessi resta e trattarli con superficialità fa di Inventing Anna una serie superficiale, a tratti noiosa, mancante di qualcosa. Di quella parte di racconto, cioè, che scavando nelle pieghe dei personaggi avrebbe potuto renderla davvero interessante.

Il trailer ufficiale di Inventing Anna

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