Su Netflix è disponibile Halftime, il documentario su Jennifer Lopez, in cui l’artista si racconta, ripercorrendo le tappe più importanti della propria carriera. Un percorso che l’ha vista partire dal Bronx oltre trent’anni fa e raggiungere le vette più alte dello star system, tra cui il Super Bowl 2020, l’halftime show – da cui il titolo dello speciale – della finale della NFL (National Football League).
JLo, un’icona mondiale
Cantante, attrice, decine di milioni di dischi venduti, due nomination ai Golden Globe, la nascita di Google immagini grazie al jungle dress di Versace indossato ai Grammy Awards, JLo rientra nel novero delle icone di portata mondiale. Halftime è un excursus della sua vita, da quando studiava danza e sognava di diventare un’attrice e una cantante.
Va via di casa giovanissima e inizia a lavorare come ballerina, ma Jennifer non si accontenta e sa perfettamente dove vuole arrivare. Nel 1997 è la protagonista del film Selena, che le fa guadagnare la prima candidatura ai Golden Globe come migliore attrice protagonista. Due anni dopo debutta come cantante ed è l’inizio di un successo planetario. Da allora, alterna la musica alla recitazione. 8 album, 60 singoli, una trentina di film. Un palmarès eccezionale, costruito passo dopo passo. «La ma idea di successo è evolvere sempre, uscire dalla zona di comfort per fare qualcosa di diverso», spiega Lopez in Halftime.
Il rovescio della medaglia
Come sempre accade, però, il successo ha il suo rovescio della medaglia. Per anni, ogni traguardo «veniva oscurato dalla mia vita privata», ovvero dall’interesse morboso dei media verso la vita privata dell’artista. Un prezzo modico per il riconoscimento planetario. J Lo, però, è stata bersaglio di sketch razzisti, cattivi, che oggi sarebbero censurati, ma che vent’anni fa facevano sbellicare il pubblico dalle risate. Il fondoschiena pronunciato e le sue origini latine, inoltre, l’hanno esposta a costante prese in giro su scala mondiale. In quegli anni «avevo poca stima di me stessa», confessa, «credevo a cosa dicevano, che non ero brava in niente».
Nonostante le critiche a volte feroci, Jennifer Lopez ha continuato a lavorare duramente, con la tenacia che l’ha sempre contraddistinta e che l’ha premiata. Nel 2020 arriva la seconda nomination ai Golden Globe, stavolta per Hustlers (Le ragazze di Wall Street – Business is business). «Mi è stata offerta l’opportunità di far luce su donne che solitamente sono al margine dell’azione», ha dichiarato. «A tutte le donne talentuose là fuori che scrivono, producono e dirigono film, supportatevi a vicenda. Raccontate le vostre storie e ricordate: “No” non è una risposta. È un’opportunità».
Halftime, l’incarnazione del sogno americano
In un’ora e mezza Halftime mostra la costruzione di una carriera di successo come poche altre, ma allo stesso tempo un lato inedito della stessa. Il rovescio della medaglia, che nel caso di Jennifer Lopez, consiste nel pregiudizio che la accompagna da sempre. Un rovescio della medaglia che, però, non le ha mai impedito di continuare a lavorare sodo. Fino all’invito più importante: il Super Bowl.
È interessante osservarne la costruzione certosina. Dalla coreografia all’esibizione canora, è una continua ricerca della perfezione al servizio dello show. Uno show che ha visto la partecipazione della figlia Emme e di Shakira. Su quel palco, ha indossato la bandiera a stelle e strisce. Il simbolo di quel sogno americano che ha inseguito da sempre, da quando trascorreva le giornate a scuola di danza.
In Halftime non c’è spazio per il privato, ma solo per qualche considerazione sempre legata alla carriera. Del resto, Lopez stessa afferma di essere felice di aver sempre separato il pubblico dal privato. Dunque, la scena è tutta per lei e i pochi cameo presenti – dalla madre al compagno, Ben Affleck – sono relegati a un ruolo marginale. E va bene così.
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