Il giornalista Giovanni Floris è uno dei volti di punta di La7 ed è il conduttore di Dimartedì. Floris è come quei mariti che rimasti vedovi si risposano con una donna che è uguale alla loro defunta moglie e quindi lasciano qua e là per la casa le foto della compianta perché ‘tanto è uguale a quella nuova’.
Sì, perché Dimartedì non è altro che Ballarò con qualche epifenomeno riadattato e con un’unica, ma determinante differenza caratteriale che affronteremo fra poco.
Gentilezza e carattere
Con quell’incarnato ambrato, la faccia da bravo ragazzo, le cravatte improponibili, il timbro vocale da amico di famiglia e quei modi cortesi, Giovanni Floris è uno dei personaggi più iconici dell’odierna informazione televisiva. E poi quel nome: come si fa a non amare uno che si chiama ‘Giovanni’?
Floris è uno bravo, lo diciamo subito chiaramente. Il suo stile è quello di proporre un tema agli ospiti lasciando alternare a lunghi interventi rapidi giri d’opinioni per poi porre l’accento sui nodi salienti cercando di far emergere i fatti.
A domande precise Floris pretende risposte precise. Non si tratta, insomma, di un reggi-microfono che permette al potente di turno di dire ciò che vuole. Il rischio è che a fine puntata lo spettatore riesca effettivamente a saperne un po’ di più. Servizi di buon livello e cartelli servono poi a fare ulteriore chiarezza.
La faccia da bravo ragazzo non inganni: sotto quell’espressione rassicurante si nasconde il piglio di un uomo di polso. Bisogna esserlo se in vent’anni di carriera televisiva ai massimi livelli si vuole tenere testa a personaggi ostici come il Berlusconi di qualche anno fa o il Salvini di oggi.
Non tutti amano Floris
Il tempo, il cambio di rete, l’emergenza Covid e il ridimensionamento del PD (secondo partito col 20,9% secondo l’ultimo sondaggio Ipsos) hanno giovato a Floris che, rispetto agli anni passati, ha potuto emanciparsi da quel modus operandi che un tempo gli attirava le critiche di M5S e dei partiti di centro-destra.
Di quale modus operandi stiamo parlando? A suo tempo l’onorevole Stefania Prestigiacomo l’avrebbe riassunto con un ‘Floooris mi lasci parlaaare!’. Renato Brunetta, altro personaggio cult dell’universo italoforzuto, uno del quale si può dire di tutto tranne che non sia colto, attribuì a Floris l’esercizio di quella ‘censura additiva’ teorizzata da Umberto Eco.
Vediamo a grandi linee come funziona: se la censura standard consiste nell’impedire il diritto di parola, la censura additiva consiste nel creare un frame di riferimento in cui tutto quello che verrà detto sarà da considerarsi distorto o degno di ludibrio. Inoltre, le informazioni chiave saranno annegate in un guazzabuglio di altre informazioni in modo tale che non si riesca a capire cosa è rilevante e cosa non lo è. Insomma, come derubricare una controargomentazione da antitesi hegeliana a rumore di fondo.
Questo avveniva in passato. A La7 si respira un’aria certamente diversa rispetto a Rai3, rete da sempre in mano al centrosinistra, un’aria nuova che a Floris ha giovato non poco.
Floris il talent scout
Giovanni Floris, fra le altre cose, è un creatore di personaggi: prende professionisti affermati in determinati campi dell’economia, della lotta sindacale e del diritto e li lancia facendoli scoprire al grande pubblico. Polverini, Cottarelli, Tinaglia e tanti altri sono sue creature massmediatiche.
Azzeccatissimo il nome del programma: chi scrive non ricorda mai quando vadano in onda su Rete4 i rispettivi programmi di Porro, Giordano e Del Debbio. Dimartedì sai sempre quando va in onda.