Rai3 inaugura Fame d’amore, una docuserie sui disturbi alimentari, in onda in seconda serata per quattro puntate e condotta da Francesca Fialdini. Protagonisti sono gli ospiti idi due strutture specializzate nella cura di anoressia, bulimia e dipendenza da cibo, situate a Todi e in provincia di Varese. La prima puntata, andata in onda l’11 maggio e disponibile su RaiPlay, ha mostrato le storie di Beatrice, una ragazza affetta da anoressia, Grazia, affetta da bulimia, e di Massimiliano, alle prese con il disturbo dell’alimentazione compulsiva.
Tre storie diverse, distanti tra loro, ma accomunate da un unico nemico: il cibo. Fame d’amore mostra le difficoltà che chi sprofonda nel tunnel dei disturbi dell’alimentazione vive e affronta, più o meno volontariamente.
La docuserie è costruita con un taglio delicato, leggero, ma dietro le tinte pastello delle inquadrature si nascondono sfumature scure che albergano nella mente dei malati. È il racconto dello stadio avanzato, di quel limbo che, se oltrepassato, può condurre a conseguenze irreparabili.
I protagonisti della prima puntata di Fame d’amore
Beatrice è anoressica grave e viene alimentata attraverso un sondino attaccato al naso. La sua battaglia col cibo l’ha vista combattere ‘fino all’osso’: ‘Non c’era un peso che accettassi’, dice, ‘volevo sempre perdere peso’. Per fortuna, la sua folle corsa verso la morte si è arrestata per tempo. La vita ha avuto la meglio, ma la via della guarigione è lenta e tortuosa: ‘Vedo un viso, ma non mi ci riconosco. Il corpo non lo vedo, non mi accetto proprio’.
Grazia è bulimica. Sogna di diventare una cantante, cerca l’approvazione negli altri. Racconta di un rapporto freddo con la madre e seziona i chicchi di riso, ma sembra molto consapevole della sua situazione. La lucina in fondo al tunnel non sembrerebbe così lontana. ‘Vedo la malattia come un’amica falsa’, afferma.
Massimiliano, invece, ha un disturbo dell’alimentazione compulsivo. Prima di essere ricoverato, si abbuffava di pizze e kebab. 40 anni, 174 kg, ha il sorriso ottimista, una passione per i cartoni animati della Disney e per i fumetti. ‘Sono troppo gasso, è questo che vedo di me’, dice, ‘Cerco di tenere a bada le beghe mentali che ho tenuto a bada per tanto tempo con la mia mania di autocontrollo. Sono convinto che le beghe andranno via quando incontrerò una ragazza. La mia fame d’amore è fame mentale, solo che io l’ho trasformato in fame fisica’.
Il cibo, acerrimo nemico
Ecco il centro di tutto: la fame di cibo, che è fame d’amore, in realtà. Amore da parte di un genitore, di una persona cara, ricerca dell’accettazione, sentirsi sbagliati e aver paura di esserlo. Avere il terrore di non essere accettati, sentirsi rifiutati. Dunque, pensare di essere sbagliati e trovare nel cibo la giusta punizione o la giusta via di fuga dalle difficoltà della vita quotidiana. 161 kg o 37.3 non fa differenza: sono due facce della stessa medaglia di una malattia silenziosa che si insidia tra le pieghe del cuore e della mente.
Tra le domande di Fame d’amore, c’è quella a cui da decenni esperti e malati provano a dare risposta: cosa alimenta l’ossessione per l’immagine e per il corpo di tanti giovani donne e uomini del nostro tempo? Non è facile trovare una risposta e ogni storia è a sé, benché tutte presentino tratti distintivi comuni.
‘Odio e repulsione verso me stessa’, ‘mi verrebbe voglia di scomparire da questo corpo, di scappare da me stessa’, le dichiarazioni della maggior parte degli intervistati. Il momento bilancia, poi, è il più temuto: cento grammi in più sono in grado di far sprofondare nella disperazione.
Fame d’amore, però, non si limita a mostrare la sofferenza: prova anche a fornire gli strumenti, sebbene in nuce, per resistere e non mollare la lotta verso la guarigione. Dalla colonna sonora (Everybody hurts dei R.E.M. a The blower’s daughter di Damien Rice) ai pareri degli specialisti presenti nelle strutture, manda un messaggio di forza e di speranza.
L’empatia di Francesca Fialdini
La presenza di Francesca Fialdini in Fame d’amore è solo a latere, è una voce narrante, non interagisce con i ragazzi, è mero intermezzo tra una storia e l’altra o funge da approfondimento esplicativo. Riesce comunque a essere empatica, ma la sua immagine viene ospitata solo davanti alla telecamera, all’interno di uno studio buio.
La scelta ricorda la liturgia di Amore Criminale, ma forse qui gli autori avrebbero potuto osare un po’ di più, magari interagendo con i protagonisti a distanza di tempo oppure già in struttura. La testimonianza sarebbe risultata un pizzico più efficace.
Fame d’amore, vero servizio pubblico
Alla Rai va comunque il plauso di aver dato spazio e voce a un disturbo che colpisce migliaia di persone, la maggior parte delle quali adolescenti. Il racconto del corpo come nemico è servizio pubblico, Fame d’amore è servizio pubblico. A dimostrazione che l’informazione, talvolta, può fungere anche da prevenzione.
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