La Art Night di Rai5, andata in onda il 29 maggio, dopo Emilio Vedova ha proposto un documentario intimo e toccante su Maria Lai, realizzato da Maddalena Bergani, dal titolo ‘Sulle tracce di Maria Lai’. Il filmato inizia e termina a Ulassai, il piccolo paese dell’entroterra sardo dove Maria Lai – una delle artiste più importanti del Novecento italiano e poco conosciuta al grande pubblico – è nata e dove è tornata per trascorrere gli ultimi anni di vita.
Ulassai rappresentava per l’artista ‘un’isola nell’isola’, dichiara la nipote dell’artista, presidente dell’archivio di Maria Lai. Negli anni ’40 si trasferisce prima a Roma e poi a Venezia, dove frequenta l’accademia delle belle arti. Merito del padre che le permette di fare esperienze diverse, sperando in realtà che la fissazione di ‘fare arte’ le passasse.
Nel ’45 rientra in Sardegna e insegna alle scuole superiori. Nel paese si sentiva compresa e aveva nostalgia degli ambienti veneziani e romani. Così, nel ’57, si trasferisce di nuovo a Roma.
La formazione di Maria Lai
Il percorso di Maria Lai si forma nell’ambito del naturalismo, intriso di suggestioni tradizionali della cultura popolare sarda. La sua ricchissima produzione artistica inizia nel 1957 e, a partire dalla metà degli anni ’60, si evolve. È proprio in quel periodo, infatti, che l’artista sperimenta nuove forme e nuovi materiali, come telai, tele cucite, pani e scritture.
Nel decennio successivo, invece, libri cuciti, geometrie, geografie e mappe astrali su stoffa. La principale fonte d’ispirazione della sua arte sono i miri e le leggende sarde tramandate di generazione in generazione.
Maria Lai traduceva la pittura in materia in un momento storico in cui l’arte si interrogava sui nuovi materiali, ma lei recuperava dal suo territorio, destrutturandoli. Nel documentario, le donne della sua famiglia e le amiche raccontano che la Lai recuperava le stoffe dai vestiti vecchi dall’armadio di zie, cugini e nipoti.
Il pane, simbolo di vita
Rivelano anche che l’artista amava moltissimo il pane, che infatti è un elemento fondamentale che utilizza sin dalle prime sculture. Lei stessa, in filmati d’epoca, rivela il motivo della sua ossessione: ‘il pane è simbolo di vita’.
Maria Lai amava la vita e viveva l’arte con lo store di un’eterna bambina, unito all’eco millenaria della civiltà sarda-. In più, era una narratrice, amava il gioco e raccontare favole. La matrice dei suoi lavori, infatti, sono i miei e le leggende del suo paese, che traduce in una favola universale, capace di essere tradotta da sensibilità eterogenee e che le ha permesso di essere anche in anticipo sulle ultime tendenze artistiche. Inoltre, è la prima che realizza un’opera di arte relazionale con ben due decenni di anticipo.
Che cos’è l’arte relazionale e cosa c’entra con Maria Lai?
L’arte relazionale è un concetto teorizzato dal critico e curatore Nicolas Bourriaud nel 1998, in un testo che solo gli addetti ai lavori conoscono. Certo, Bourriaud si riferisce anche a un ambito più internazionale che italiano, ma si può dire che dalla seconda degli anni ottanta la nuova generazione di artisti si apre a forme di collaborazione, dialettiche e interdisciplinari.
È un periodo di rivoluzione in cui cambia il modo di concepire le mostre, i contesti. L’opera d’arte non viene più concepita in modo tradizionale. Gli artisti, quindi, iniziano a creare nuovi percorsi, diventano itineranti e spalancano le braccia e la mente a diverse realtà e culture.
L’incontro con l’altro
L’incontro con l’altro diventa fulcro principale di tante esperienze artistiche. Maria Lai concepisce un’arte che ha come orizzonte la sfera dei rapporti umani e il proprio contesto sociale. L’artista recupera il rapporto con la cultura popolare, si appropria della sua terra, delle leggende, della sua comunità, dei riti e della memoria.
Lo fa attraverso un approccio critico di un patrimonio considerato per certi versi ‘minore’, per poi tradurlo in un linguaggio comune e che risulta ancora molto attuale.
Il ruolo del pubblico si trasforma: non è più coinvolto in maniera passiva, ma diventa parte integrante dell’opera che si realizza attraverso l’azione del pubblico. Gli spettatori, quindi, sono chiamati alla collaborazione, partecipando all’opera attivamente, in un rapporto di influenze reciproche.
Il gioco e le favole cucite: ‘Legarsi alla Montagna’ (1981)
Il ritratto di Maria Lai continua nel museo di Ulassai ‘Museo Stazione dell’Arte’, nato grazie a una donazione dell’artista stessa, in cui sono esposte circa 150 opere. Un aspetto importante della poetica di Maria Lai è il gioco, inteso come un varco sul mondo dell’arte. A questo proposito, viene presentata una fiaba cucita da Maria Lai nel 1987 dal titolo ‘Tenendo per mano l’ombra’, realizzata e filata nel 2005.
Nel 2005 il regista Francesco Casu riferisce che l’intento di Maria Lai era quello di fare approcciare all’arte anche chi era distante e con questo video voleva far entrare lo spettatore dentro l’opera.
Il forte legame tra Maria Lai e la comunità sarda
Il documentario prosegue con altre testimonianze di parenti e amici, che raccontano la genesi dell’opera più rappresentativa dell’artista: ‘Legarsi alla Montagna’, del 1980. Colpisce che a parlarne siano proprio gli ulassesi, a dimostrazione del forte legame tra l’artista e la comunità, che ne continua a tramandare l’eredità.
Nel 1980 Maria Lai viene contattata dall’amministrazione per realizzare un monumento ai caduti. Risponde personalmente dicendo che ‘monumenti ai morti non ne faceva, lei si interessava dei vivi’. Così le viene in mente di progettare un’opera collettiva, stabilendo he gli autori dovessero essere gli abitanti del paese.
Il nastro azzurro
È proprio lei a parlare dell’ispirazione. In un’intervista racconta una leggenda che riguarda la storia di una bambina, mandata in montagna durante un temporale per portare il pane ai pastori. Trovandoli rifugiati in una grotta, si riparò anche lei e insieme ammirarono la tempesta, quando a un tratto vide svolazzare un nastro azzurro e, incuriosita, scappò per rincorrerlo.
In quel momento, la grotta franò e i pastori morirono. Il nastro azzurro è il filo conduttore che Maria lai ha proposto come ‘metafora dell’arte in un momento in cui il mondo era minacciato da frane’.
L’artista racconta che tutto il paese si interrogava su dove fosse l’arte in quell’opera e che nessuno voleva partecipare, fino a quando una decina di persone si convinsero. Iniziarono, così, a riunirsi tutte le sere e a spiegare il progetto agli altri compaesani.
Maria Lai chiarisce anche che la reticenza delle persone risiedeva nella loro dignità. Avevano paura di sembrare ridicoli agli occhi degli altri e la faccenda era ancora più complicata perché in tutte le famiglie c’erano dei rancori.
I significati del nastro
Quando sembrava che non ci fossero più speranze di portare avanti l’opera corale, gli abitanti divennero creativi e diedero dei significati alle modalità in cui veniva approntato il nastro. Se era steso, simboleggiava il rancore; annodato, che vi fosse pace; Il fiocco, segno d’amicizia; esposto insieme al pane delle feste, indicava l’amore.
Alla fine l’opera venne realizzata l’8 settembre dell’anno seguente. ‘Legarsi alla montagna’ ha coinvolto tutto il paese di Ulassai: nel giro di un’ora tutte le casa vennero legate tra loro.
Il giorno dopo, tre scaltro venuti da Cagliari portarono la fascia di tessuto sulla montagna e, mentre erano intenti nella loro scalata, su suggerimento dell’artista diedero i nomi alle vie che, via via, aprivano lungo il tragitto.
E così la fascia celeste svettava dalla cima della montagna, ‘come uno zampillo d’acqua sul paese’. Ulassai, quindi, non è più soltanto uno spazio fisico, ma diventa un luogo in cui il tempo si congiunge, creando cortocircuiti tra modernità e tradizione.
Un tempo inteso come memoria collettiva del passato, ma anche come un tempo futuro e che si materializza nelle relazioni che hanno intrecciato un progetto partecipato dalla cittadinanza.
‘Museo a cielo aperto, Maria Lai’ e Antonio Marras
Maria Lai lascia Roma negli anni ’80, ma colleghi, critici ed esponenti del panorama artistico vanno a trovarla anche a Ulassai. Nel 1993 il Comune le affida un altro progetto per alleggerire l’impatto del cemento sul paesaggio.
Nasce, così’, il ‘Museo a cielo aperto’, fatto di opere giocose disseminate in tutto il paese e, ancora una volta, l’artista sarda riesce a unire passato e futuro insieme. Nel cortometraggio vi è la testimonianza del noto designer Antonio Marras, che racconta della sua esperienza personale con l’artista.
‘Tenendo per mano il sole’ al MAXXi nel 2019
La mostra allestita al MAXXI dedicata all’artista per il centenario dalla nascita, ‘Tenendo per mano il sole. Maria Lai’ (giugno 2019 – gennaio 2020), riprende il titolo della sua prima fiaba cucita e molte delle opere già esposte in mostre internazionali, come la Biennale di Venezia nel 2017.
Non si tratta di una semplice restrospettiva, in quando non considera la cronologia, ma si fonda sul percorso dell’artista e sugli elementi essenziali della ricerca di Maria Lai, che hanno caratterizzato il suo immaginario.
L’amore di Ulassai per Maria Lai
Anche qui i suoi amati compaesani le hanno rivolto un tributo partecipando, ancora una volta, a un progetto e riuscendo a portare a Roma il cartello stradale con la scritta ULASSAI, esposto come un varco nel bel mezzo della mostra.
Da qui in poi, è stato riportato sulla montagna tanto amata dall’artista e posizionato tra le rocce in orizzontale come una bandiera. Un docufilm commovente ed emozionante, che va oltre tutto quello che è scritto sui libri.
Interessante e coinvolgente anche per chi si approccio all’arta per la prima volta e per cui l’arte non è proprio il pane quotidiano. Un racconto riuscitissimo di una degli artisti più importanti dell’ultimo secolo e che ancora rimane sconosciuta a troppi.
Prendendo in prestito il lessico di Maria Lai, si può dire che la matrice della sua poetica ha anche una valenza politica, in quanto lo sviluppo rapido dell’Italia del secondo dopoguerra e il rapporto della condizione antropologica con il territorio è un’urgenza sentita da tutti gli intellettuali del tempo.
Trame infinite ricamate sul telaio del presente
Il suo impegno sociale è quindi quello di riconoscere e trasmettere l’importanza dell’eredità della storia della civiltà, attraverso l’arte e di renderla condivisibile. Tutti possono prenderne parte.
Maria Lai attinge proprio da questo patrimonio culturale ‘immateriale’, che come un filo continua ancora oggi a ricamare trame infinite sul telaio del presente.