8 Rue de l’Humanité, su Netflix il racconto del lockdown: recensione

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8 rue de l'humanité netflix film
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Le strade deserte, gli applausi dai balconi, il lockdown. Inizia così 8 Rue de l’humanité, film Netflix che racconta l’inizio della pandemia. Ripercorre le tappe che hanno portato a convivere con il Covid, dall’ignoto alla consapevolezza, dallo scetticismo iniziale alla paura. Dall’egoismo all’altruismo.

La trama del film di Dany Boon

Ambientato in un condominio di Parigi, racconta la vita di quel microcosmo nei primi giorni del lockdown. La sera ci si affaccia ai balconi, tutti insieme. Chi applaude, chi fa rumore con le pentole, per un attimo la città torna rumorosa nella speranza che la forza di quel battito di mani raggiunga medici, personale sanitario e malati.

Una volta richiuse le finestre, però, ciascuno torna alla propria vita e al proprio modo di essere. I primi mesi dell’emergenza sanitaria hanno diffuso urbi et orbi il mantra ‘andrà tutto bene’, ma non sempre i fatti hanno rispettato le attese.

Ed è quello che accade in 8 Rue de l’humanité. C’è l’inquilino cafone, che tratta tutti dall’alto in basso e non si cura delle raccomandazioni. Anzi, rifiuta qualsiasi spiegazione medica e conduce una vita priva di alcuna cautela. Quello che oggi chiameremmo no vax.

C’è l’ansioso, che vive il lockdown come una spada di Damocle che presto sterminerà tutti. Dunque, l’unico modo per contrastare il virus ancora sconosciuto è essere il più possibile prudenti, anche a costo di esagerare.

Vi è, poi, il personal trainer narciso con un buon seguito sui social, più attento alle dirette su Instagram che alla salute della compagna, cantante in erba incinta e in procinto di partorire. Dal canto suo, la compagna prova a trovare la sua strada, sebbene gli spazi della casa non lo consentano granché, utilizzando i social per veicolare la propria musica. Vi è l’avvocato che deve arginare le ansie del marito mentre prova a salvare i propri clienti da una condanna, il medico del laboratorio di analisi concentrato sullo studio di un vaccino. Ci sono bambini, i più sacrificati, ma anche i più fantasiosi, abbastanza da trovare un proprio spazio. A chiudere il cerchio, Diego, marito di Paola, la portinaia del palazzo, ricoverata in ospedale per Covid.

Una fotografia del lockdown

Il film comincia, dunque, con l’inizio della pandemia. Ciascuno degli abitanti di 8 Rue de l’humanité prende le misure con le disposizioni, con la mancanza di mascherine, di gel, e fa i conti con sé stesso. Chi canta, chi fa sport, chi deterge qualsiasi cosa, chi lavora, chi studia, chi si reinventa perché non ha più entrate a causa della chiusura del bar e non sa come tirare avanti. La casa diventa un microcosmo e all’interno di questo spazio si delinea una nuova quotidianità.

Presto il lockdown fa sentire i suoi effetti e gli equilibri saltano uno dopo l’altro. L’incertezza del futuro si trasforma in paura del presente, le coppie entrano in crisi, la convivenza si fa difficile sia dentro le mura di casa sia negli spazi comuni. Il sospetto dell’altro va di pari passo con il bisogno di riappropriarsi della vecchia vita, quella vita comune, ordinaria, messa in pausa, che stenta a tornare.

Poco alla volta, però, i protagonisti di 8 Rue de l’humanité sperimentano sulla propria pelle gli effetti della noncuranza, del sospetto, dell’egoismo e della mancanza di rispetto verso le restrizioni e verso l’altro. Una volta raggiunto il climax, si passa alla seconda fase. Una fase fatta di ascolto, di solidarietà, di vicinanza. Ed ecco che finalmente fa ingresso l’umanità.

Recensione di 8 Rue de l’humanité

8 Rue de l’humanité è un film realista, che racconta in modo leggero, ma veritiero, i primi mesi della pandemia. Scandaglia l’animo umano e le diverse fasi che chiunque ha dovuto attraversare. Si sorride, si piange, ci si interroga, si riflette. Un film giusto, per non dimenticare cosa è stato (e in parte ancora è), per ricordarci che nessuno si salva da solo e che a volte un pizzico di umanità aiuta ad andare avanti. Nonostante tutto.

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